31 luglio 2019

Strade portoghesi

Passeggiare per le strade di Coimbra, sede di una delle più antiche università d'Europa, può riservare piacevoli sorprese.

20 luglio 2019

Lezioni perfette danno risultati perfetti?

Siamo ormai a fine luglio, e chi a settembre insegnerà per la prima volta un nuovo corso
(come nel mio caso) comincia a pensare a che libri di testo adottare e a come strutturare
le lezioni.

Personalmente, ho sempre cercato di adottare un approccio abbastanza rigoroso e lineare alla materia: esempi elementari per motivare le definizioni, lemmi, proposizioni, teoremi, dimostrazioni complete, altri esempi più sofisticati, controesempi che mostrino l'importanza delle ipotesi. E infine, ovviamente, esercizi  da svolgere a casa per consolidare le nozioni apprese in classe.

Probabilmente, cerco di riprodurre in aula il tipo di lezione che piace a me.

In un certo senso, quindi, anch'io tendo a svolgere una sorta di "lezione perfetta", in cui tutti i pezzi si incastrino alla perfezione e che lasci gli studenti sorpresi ed entusiasti, come dopo un bel film. Una lezione nella quale nulla sia lasciato al caso, ogni cosa sia spiegata per filo e per segno,
e che magari si concluda con un bel risultato inaspettato ottenuto come corollario della teoria generale, una specie di colpo di scena finale alla Black Mirror (uno dei miei esempi preferiti è il Teorema di Perron-Frobenius  ricavato come conseguenza del teorema del Punto Fisso di Brouwer).

Tuttavia, a volte mi chiedo se questo sia l'unico approccio possibile, o perfino se sia davvero quello che fornisca i migliori risultati in termini di apprendimento.  In alcuni momenti ho l'impressione che la "lezione perfetta" nel senso di cui sopra sia uno show del docente, e che gli studenti siano dopotutto soggetti passivi ai quali si fornisce del materiale perfettamente pre-digerito, la cui assimilazione è dunque (relativamente) facile ma che, nel lungo periodo, dà loro poche competenze in ambito di problem-solving, per usare una espressione di cui oggi forse si abusa.

E infatti, almeno per quanto riguarda la mia esperienza personale, la parte che gli studenti trovano più difficile non è studiare la teoria, che magari conoscono per filo e per segno, ma svolgere gli esercizi. Forse lezioni troppo chiare e dettagliate li disabituano allo sforzo necessario per comprendere un enunciato e provare a dimostrarlo in autonomia?

Quando ero studente, c'erano docenti che si vantavano addirittura di compiere appositamente degli errori durante la lezione, in modo da testare il senso critico dell'uditorio, costringerlo ad un'attenzione costante ed evitare l'effetto "pappa pronta". Questo tipo di provocazioni mi ha sempre lasciato diffidente, sia perché non mi piace scrivere  enunciati o dimostrazioni sbagliati, neanche per di una buona causa, sia perché dopotutto ritengo di essere pagato per insegnare, non per svolgere esperimenti sociali in aula.

Mi domando però se metodi alternativi alla lezione frontale, tipo le "flipped classroom" che oggi vanno tanto di moda in alcune scuole superiori, possano aiutare in tal senso, e se sia davvero possibile implementarli con successo in un corso universitario di Matematica.

Alla fine,  lezioni perfette danno davvero risultati perfetti, o bisognerebbe cominciare ad approcciarsi alla didattica (anche) in modo diverso?