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06 gennaio 2024

An overkill proof of the divergence of the harmonic series

 The following proof can be found in the MO thread [1].

Assume that the harmonic series $\sum_{n=1}^{+ \infty}\frac{1}{n}$ converges. Then the sequence of functions $\{f_n\}$ defined by $f_n = \frac{1}{n} \chi_{[0, \, n]}$ is dominated by the function $$g = \chi_{[0, \, 1]} + \frac{1}{2} \chi_{[1, \, 2]}+\frac{1}{3} \chi_{[2, \, 3]}+ \frac{1}{4} \chi_{[3, \, 4]}+\ldots,$$ which is by assumption absolutely integrable over $\mathbb{R}$. 

By applying Lebesgue's Dominate Convergence Theorem [2] we get: $$1 = \lim_n \int_{\mathbb{R}} f_n(x) dx = \int_{\mathbb{R}}  \lim_n f_n(x)dx = 0,$$ a contradiction. $\Box$

References

[1] https://mathoverflow.net/questions/42512/awfully-sophisticated-proof-for-simple-facts

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Dominated_convergence_theorem

12 ottobre 2023

An overkill way to recover the Taylor expansion of $e^x$

Let us consider the linear operator of Banach spaces $$F \colon C[0, \, 1/2] \to C[0, \, 1/2], \quad F(f(x)):= \int_0^x f(t)dt.$$ Then the identity $\int_0^x e^tdt=e^x-1$ can be rewritten as $$(I-F)(e^x)=1. \quad (\sharp)$$ The operator $F$ is bounded and we have $$||F|| = \sup_{f \in C[0, \, 1/2]} \frac{||F(f)||}{||f||} \leq \frac{1/2 \, ||f||}{||f||} = \frac{1}{2} <1.$$ This implies that $I-F$ is invertible as a bounded linear operator and  moreover $$(I-F)^{-1} = \sum_{k=0}^{+ \infty} F^k.$$ Substituting in $(\sharp)$, we get $$e^x=(I-F)^{-1}(1)=\left(\sum_{k=0}^{+ \infty} F^k \right) (1) = \sum_{k=0}^{+ \infty} F^k(1) = \sum_{k=0} ^{+ \infty}\frac{x^k}{k!},$$ which is the well-known Taylor series expansion of  $e^x$.

20 novembre 2022

The Foias constant

The Foias constant [1] is the unique initial value $x_1= \alpha$ such that the sequence defined by the recurrence $$x_{n+1} = \left(1+\frac{1}{\, x_n} \right)^n$$ diverges to $+\infty$. Numerically, it is 
$$\alpha=1.18745235112650 \ldots$$
No closed form for the constant is known, and its transcendence has not been proven so far.

The constant is named after Ciprian Ilie Foias (1933-2020), a Romanian-American mathematician famous for contributing to PDE, Operator Theory, and Control Theory [2, 3].

The history of its discovery is a curious example of serendipity. In the mid-seventies, when Foias was teaching at the University of Bucharest, an error of a typist changed an easy basic exercise to a very challenging one. Foias took the challenge and eventually solved the accidentally invented difficult problem [4].

References.
[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Foias_constant
[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Ciprian_Foias
[3] Remembrances of Ciprian Ilie Foias, Notices AMS 69 (9), October 2022.
[4] J. Ewing, C. Foias: An Interesting Serendipitous Real Number. In Finite versus Infinite: Contributions to an Eternal Dilemma (Ed. C. Caluse and G. Păun). London: Springer-Verlag, pp. 119–126, 2000.


27 giugno 2021

$x^y=y^x$

Il grafico della curva $x^y=y^x$ (per $x>0, \, y>0$) consiste di due rami distinti. Uno è la bisettrice del primo e terzo quadrante, corrispondente alle soluzioni ovvie $(x,\, x)$. L'altro è la curva avente equazione parametrica

$$x=t^{1/t-1}, \quad y=t^{t/t-1},$$

corrispondente alle soluzioni non banali. I due rami si intersecano nel punto $(e, \, e)$ [1]

Con queste informazioni, è facile determinare le regioni del primo quadrante in cui è verificata la diseguaglianza $x^y>y^x$: sono quelle colorate in rosso nel grafico allegato, realizzato con Desmos [2]

Il punto $(e, \, \pi)$ è disegnato in viola.



Riferimenti.

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Equation_x%CA%B8_%3D_y%CB%A3

[2] https://www.desmos.com/calculator


26 giugno 2021

Una semplice dimostrazione della diseguaglianza $e^{\pi} > {\pi}^e$.

Dalla formula di Taylor abbiamo $e^{x} >1+x$ per ogni $x>0$. Preso $x=\pi/e−1$, si ottiene $e^{\pi/e−1} > \pi/e$. Moltiplicando per $e$, si ricava $e^{\pi/e} > \pi$. Infine, elevando ad $e$, si ha la diseguaglianza voluta.

Infatti $e^{\pi} ≃ 23,14$, mentre $\pi^e ≃  22,46$.


01 febbraio 2021

The sophomore dream

Johann Bernoulli's identity, known as the sophomore dream (1697).


References.

[1]
Johannis Bernoulli, Opera omnia, vol. 3, pp. 376–381
[2] William Dunham "3: The Bernoullis (Johann and $x^x$)", The Calculus Gallery, Masterpieces from Newton to Lebesgue, Princeton, NJ: Princeton University Press, pp. 46–51 (2005)

07 novembre 2020

L'irrazionalità di $e$

Esponiamo la celebre dimostrazione in poche righe dell'irrazionalità di $e$, dovuta a Joseph Fourier. L'idea è quella di ragionare per assurdo, spezzando in modo opportuno il noto sviluppo in serie e maggiorando una delle quantità risultanti per mezzo di una serie geometrica. 

Teorema. Il numero di Nepero $e$ è irrazionale. 

Dimostrazione.  Supponiamo per assurdo che $e$ sia razionale, cioè che si possa scrivere $e=m/n$ con $m, \, n \in \mathbb{N}$. Allora si ha 
\begin{equation*}
\frac{m}{n}=\sum_{k=0}^{+ \infty} \frac{1}{k!} \end{equation*} da cui, dopo avere moltiplicato entrambi i termini per $n!$, si ottiene \begin{equation*}\begin{split} & m(n-1)! -  \sum_{k=0}^n \frac{n!}{k!} = \sum_{k=n+1}^{+ \infty} \frac{n!}{k!} \\ = &  \frac{1}{n+1} + \frac{1}{(n+1)(n+2)}+ \frac{1}{(n+1)(n+2)(n+3)}+ \ldots \\ <  &  \frac{1}{n+1} + \frac{1}{(n+1)^2}+ \frac{1}{(n+1)^3}+ \ldots \\ = & \frac{1}{n} \end{split}\end{equation*} Il primo termine a sinistra è un intero positivo, mentre l'ultimo a destra è compreso strettamente fra $0$ e $1$, contraddizione. $\square$

24 ottobre 2020

$f(x)=1/x$ ha una discontinuità in $x=0$?

What is important is to spread confusion, not eliminate it.
Attributed to Salvador Dalì

Se si vuole innescare un flame in una pagina sui social dedicata alla Matematica, un metodo infallibile è porre la domanda nel titolo del post. Sicuro come le tasse, i commentatori si divideranno, automaticamente e all'istante, in due fazioni agguerritissime e fra loro inconciliabili:

  1. Per alcuni, $f(x)=1/x$ non ha discontinuità in nessun punto, dato che $x=0$ non fa parte del "dominio naturale" di $f$ e quindi non ha senso parlare di continuità di $f(x)$ in $x=0$ fin quando non si assegni un valore preciso a $f(0)$.
  2. Altri fanno invece notare che, in ogni caso, qualsiasi valore si assegni a $f(0)$ la funzione sarà non-continua, dato che i limiti per $x$ che tende a $0$ non sono finiti. Quindi, ha senso dire che $f(x)=1/x$ ha una "discontinuità di seconda specie" in $x=0$. Il fatto che il punto $x=0$ non sia nel dominio naturale di $f$ non è un problema, dato che basta che esso sia di accumulazione per lo stesso. 
Chiedersi chi ha ragione è un po' come chiedere se $0$ è un numero naturale, se le permutazioni si compongono da sinistra a destra o da destra a sinistra, se sulla pizza marinara va l'aglio o se sono meglio i Beatles o i Rolling Stones: in altre parole, è una questione di convenzione (e di gusti).

Sicuramente, la definizione di "continuità di una funzione in un punto $x$" richiede che la funzione sia definita in tale punto. Tuttavia, e qui sta il nocciolo della questione (che viene messo in evidenza, ad esempio, da Sandra Lucente su MaddMaths [MaddMaths17] o da "egreg" nella sua risposta a [MSE421951]), il termine "discontinuità" in Matematica non ha sempre significato (solo) "punto di non continuità" nel senso moderno.

Infatti, tale termine deriva dal concetto intuitivo (ed errato) che il grafico di una funzione continua sia composto "di un solo pezzo", per cui "avere una discontinuità"  diventava sinonimo di "il grafico in quel punto si spezza". Questa terminologia infelice è la fonte di una serie interminabile di malintesi, dato che  "discontinuità" in tal senso è più simile al concetto di "singolarità" per funzioni di variabile complessa che a quello di "punto di non continuità" per funzioni di variabile reale.

Una delle conseguenze di tale confusione è che alcuni Autori usano il termine "discontinuità" nell'accezione dei commentatori in 1., mentre altri Autori la usano nell'accezione dei commentatori in 2.

Ciò risulta in modo evidente da una rapida, e sicuramente non esaustiva, analisi delle letteratura, che  mostra come la definizione di "discontinuità" data nei manuali universitari di Analisi 1 sia ben lungi dall'essere univocamente stabilita; il lettore potrà, se lo ritiene opportuno, effettuare un'analisi simile per i manuali adottati nei Licei.
  • In Amerio il termine "discontinuità in $x_0$" è usato precisamente nell'accezione 2. L'autore specifica che il punto $x_0$ deve appartenere all'insieme $DT$ dei punti di accumulazione del dominio $T$ della funzione. Citando testualmente [A90, p131]:
    Se $T$ è l'insieme di definizione di una funzione, si dice punto di discontinuità di f(x) ogni punto $x_0 \in DT$ in cui la funzione stessa non è continua o non è definita.
  • In Cecconi-Stampacchia  il termine "discontinuità" è usato esclusivamente nell'accezione 1., quindi come "punto di non continuità" [CS74, p. 162].
  • In Pagani-Salsa il termine è usato nell'accezione 1.; tuttavia, viene osservato che l'accezione 2. è anche comune, ma secondo gli Autori [PS95, Osservazione 1.1 p. 228] essa è ammissibile
    solo se si sottintende che le funzioni in questione siano state tacitamente definite in $x_0$ in modo opportuno.
  • In Bramanti-Pagani-Salsa la trattazione è piuttosto curiosa, almeno a mio parere. A p. 117 viene detto esplicitamente che
    una funzione non continua in $c$ è detta discontinua in $c$,
    il che porta a pensare che gli Autori utilizzino l'accezione 1. Subito dopo, però, viene data la definizione di "discontinuità a salto" (quella che altri Autori chiamano "di prima specie") ma, stranamente, senza richiedere che la funzione sia definita nel punto [BPS08, Definizione 3.12 p. 117]. Ciò è reso ancora più esplicito all'inizio di p. 118, dove si dice  che
    la funzione $x/|x|$ ha un punto di discontinuità a salto in $0$, con salto $2$.
  • Giusti, nel suo bel libro [G88], è vittima nella stessa ambiguità terminologica che abbiamo analizzato sopra. A p. 150 scrive testualmente
    Si capisce meglio il concetto di continuità se si studiano brevemente i punti di discontinuità di una funzione, ossia i punti in cui una funzione non è continua.

    Sembra quindi che l'Autore voglia utilizzare il termine "discontinuità" nell'accezione 1. Tuttavia,  poco dopo (a p. 151) scrive esplicitamente che $1/x$ e $1/x^2$ hanno una discontinuità "di secondo tipo" in $0$, il che ha senso solo se si utilizza il termine "discontinuità" nell'accezione 2.

  • Leggendo Marcellini-Sbordone [MS88] sembra che gli Autori propendano per l'accezione 2. Per loro, infatti, una funzione non definita in un punto è per definizione non continua in tale punto; a p. 104 si fornisce come esempio esplicito $f(x)=\sin x/x$ in $x=0$, anche se viene immediatamente osservato che è possibile prolungare tale funzione con continuità ponendo $f(0)=1$. L'analisi delle "discontinuità" che segue  è sulla stessa linea: ad esempio, viene definita "discontinuità di seconda specie" un punto $x_0$ tale che uno dei due limiti non esista o non sia finito, senza nulla richiedere sull'esistenza di $f(x_0)$, supponendo quindi implicitamente che $x_0$ sia punto d'accumulazione per il dominio della funzione.

  • Soardi propende decisamente per l'accezione 2. Nella sezione dedicata ai punti di discontinuità [So10, p. 188] l'Autore scrive infatti testualmente
    Se $f(x)$ non è continua in $x_0$ si dice che $x_0$ è punto di discontinuità. È opportuno tuttavia ampliare la nozione di punto di discontinuità al caso in cui $f$ non sia necessariamente definita in $x_0$.
    A scanso di equivoci, alla fine della trattazione di ciascuno dei tre tipi di discontinuità, specifica 
non è richiesto che la funzione sia definita in $x_0$. 

  • De Marco utilizza il termine "discontinuità" con l'accezione 1, ma la sua classificazione è un po' diversa da quella usuale. In [DeM96, p. 301] l'Autore chiama "punto di discontinuità di prima specie" per una funzione $f \colon D \to \mathbb{R}$ un punto $c \in D$ di accumulazione per $D$ tale che i limiti per $x \to c$ di $f(x)$ esistono ma differiscono fra loro o dal valore $f(c)$. Questa definizione ingloba sia le discontinuità eliminabili che quelle di salto. Ogni altra discontinuità viene chiamata "di seconda specie".

Questi pochi esempi mostrano come ogni tentativo di dare una risposta alla domanda nel titolo del post finisce per farti addentrare in un ginepraio inestricabile di definizioni spesso fra loro contrastanti. Se devi insegnare la materia, ti chiedi giustamente: Che fare? [L70]. Anche qui, la risposta non è semplice, e probabilmente non esiste neanche una risposta "giusta". 

Personalmente, quando mi trovo a parlare dell'argomento, preferisco evitare il termine "discontinuità", fonte di confusione, e ad usare al suo posto il termine "singolarità". Prima, però, illustro le due accezioni del termine "discontinuità" che si trovano in letteratura, e quali siano a mio avviso i pro e i contro di entrambe. Al di là di ogni polemica, il modo migliore per rapportarsi ad una terminologia diffusa ma ambigua è quello di spiegare chiaramente il motivo e i rischi di tale ambiguità.

Riferimenti.

[A90] L. Amerio: Analisi Matematica con elementi di Analisi Funzionale, Volume Primo, edizione ampliata, UTET 1990

[BPS08] M. Bramanti, C. D. Pagani, S. Salsa: Analisi Matematica 1, Zanichelli 2008

[CS74] J. Cecconi, G. Stampacchia: Analisi Matematica 1, Liguori 1974

[DeM96] G. De Marco: Analisi 1, Seconda Edizione, Decibel-Zanichelli 1996 

[G88] E. Giusti: Analisi Matematica 1, Bollati Boringhieri 1988

[L70] Lenin: Che fare? Editori Riuniti, 1970.

[MaddMaths17] http://maddmaths.simai.eu/divulgazione/langolo-arguto/possibile-che-funzioni-continue-siano-discontinue-e-viceversa/

[MS88] P. Marcellini, C. Sbordone: Analisi Matematica 1, Liguori 1998

[MSE421951] https://math.stackexchange.com/questions/421951/does-a-function-have-to-be-continuous-at-a-point-to-be-defined-at-the-point

[PS95] C. D. Pagani, S. Salsa: Analisi Matematica 1, Masson 1995

[S10] P. M. Soardi: Analisi Matematica, Città Studi 2010.

22 settembre 2020

La dimostrazione originale di Cantor della non-numerabilità dell'insieme dei numeri reali

 La dimostrazione della non-numerabilità di $\mathbb{R}$ che viene insegnata di solito al primo anno di università è quella basata sul ben noto procedimento diagonale [W], introdotto da Georg Cantor nel 1891 [C1891].

Meno nota è invece la dimostrazione originale di questo profondo risultato, che Cantor pubblicò nel 1874 [C1874] e che vogliamo qui proporre usando la terminologia moderna. Il punto di partenza è il seguente risultato generale di carattere topologico [M2014, Proposizione 4.46], oggi noto come 

Lemma di Cantor. Sia $$K_1 \supset K_2 \supset K_3 \supset \ldots$$ una catena numerabile di chiusi non vuoti e compatti di uno spazio topologico $X$. Allora $$\bigcap_{n \geq 1} K_n \neq \emptyset$$

Dimostrazione. Se il risultato fosse falso, la famiglia $\{K_1-K_n\}_{n \geq 1}$ sarebbe un ricoprimento aperto di $K_1$. Siccome $K_1$ è compatto, si potrebbe estrarre da tale ricoprimento un sottoricoprimento finito, ottenendo $$K_1=\bigcup_{j = 1}^t (K_1-K_{n_j})$$ Ciò implicherebbe $\bigcap_{j = 1}^t K_{n_j}=\emptyset$, una contraddizione dato che tale intersezione è uguale a $K_{n_t}$. $\square$

Osservazione: È importante notare che l'ipotesi di compattezza dei $K_n$ è essenziale, altrimenti si costruiscono facilmente controesempi del tipo $X=\mathbb{R}-\{0\}$ e $K_n=[-1/n, \, 1/n] \cap X$.

Siamo ora pronti ad illustrare l'idea della dimostrazione originale di Cantor.

Teorema (Cantor, 1874). La retta reale è non numerabile.

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che $\{x_n\}$ sia una successione che enumera i reali;  dimostreremo che, dato un qualsiasi intervallo $(a, \, b)$, esiste sempre un numero reale $y \in (a, \, b)$ che non appartiene ad essa. 

Si costruiscano in modo ricorsivo due successioni $\{a_n\}$, $\{b_n\}$ nel modo seguente: siano $a_1$, $b_1$ (con $a_1 <b_1$) i primi due elementi della successione $\{x_n\}$ che sono contenuti in $(a, \, b)$, siano $a_2$, $b_2$ (con $a_2 < b_2$) i primi due elementi della successione che sono contenuti in $(a_1, \, b_1)$,  siano $a_3$, $b_3$ (con $a_3 < b_3$) i primi due elementi della successione che sono contenuti in $(a_2, \, b_2)$ e così via. 

Osserviamo che, dato un qualsiasi elemento $x_n$ della successione originaria, esiste $t \in \mathbb{N}$ tale che  $x_n \notin [a_t, \, b_t]$. Infatti, si scelga $t \in \mathbb{N}$ tale che $a_t=x_k$ e $b_t=x_r$, con $k, \, r >n$; allora, per come sono state costruite le successioni $\{a_n\}$ e $\{b_n\}$, deduciamo $x_n \notin(a_{t-1}, \, b_{t-1})$ e quindi $x_n \notin [a_t, \, b_t]$, come affermato.

Ora, per il Lemma di Cantor sappiamo che  la catena decrescente di compatti $$[a_1, \, b_1] \supset [a_2, \, b_2] \supset [a_3, \, b_3] \supset \ldots$$ ha intersezione non vuota. Se $y$ è un elemento in tale intersezione, per quanto appena detto si ha necessariamente $y \notin \{x_n\}$, contraddizione.   $\square$

Questa elegante dimostrazione usa in modo essenziale il fatto che gli intervalli chiusi di $\mathbb{R}$ sono compatti (il che è equivalente all'Assioma di Completezza), vedi l'Osservazione sopra.  Per tale motivo, Cantor non ne fu pienamente soddisfatto e continuò a cercare una dimostrazione della non-numerabilità di $\mathbb{R}$ che non fosse basata sulla completezza. Ciò lo portò, quasi 20 anni dopo, a scoprire l'argomento diagonale.

Riferimenti.

[C1874]  G. Cantor: Über eine Eigenschaft des Inbegriffes aller reellen algebraischen Zahlen, Crelles Journal 77,  258 - 262 (1874)
[C1891] G. Cantor: Ueber eine elementare Frage der Mannigfaltigkeitslehre, Jahresbericht der Deutschen Mathematiker-Vereinigung. 1: 75–78 (1891)
[M2014] M. Manetti, Topologia (Seconda edizione), Springer Unitext 2014.
[W]  https://en.wikipedia.org/wiki/Cantor's_diagonal_argument

06 settembre 2020

Patterns that eventually fail

Come dimostrato in un recente post sul numero di regioni in cui un cerchio viene diviso unendo a due a due $n$ punti sulla circonferenza, è sempre rischioso estrapolare una formula sulla base dei primi dati conosciuti.

Un esempio ancora più sorprendente (tratto dalla pagina Twitter di John Carlos Baez, @johncarlosbaez) riguarda la successione di integrali rappresentata in figura. 

Calcolandone i valori per i primi milioni di $n$, si ottiene sempre $\pi/2$. Si sarebbe incautamente tentati di pensare che si ottenga $\pi2$ per ogni valore di $n$, ma di fatto ciò è falso se $$n> e^{101} \cong 7.4  \times 10^{43}.$$ Una spiegazione, basata sull'estrema lentezza della divergenza della serie armonica, è fornita nel blog di Baez [1].

Infatti, questi integrali sono ottenuti modificando i cosiddetti Integrali di Borwein [2], che presentano un pattern concettualmente simile (con la deviazione dal valore $\pi/2$ a partire da $n=15$).

 


Riferimenti.


05 ottobre 2019

$\pi=4$?

Un famoso paradosso geometrico che ogni tanto rispunta fuori sul web è quello mostrato nella figura sottostante. Tramite un ingegnosa “inversione ripetuta degli angoli”, una circonferenza $C$ di diametro unitario viene approssimata uniformemente da una successione di curve poligonali $L_n$ di lunghezza costante $4$. Siccome la lunghezza di $C$ è per definizione uguale a $\pi$, passando al limite si ottiene $\pi=4$.




L’errore in questo ragionamento è piuttosto sottile ed è radicato profondamente nel significato di “lunghezza di una curva parametrizzata”. Il punto cruciale è che il calcolo di tale lunghezza (o, equivalentemente, il calcolo del suo parametro d’arco) coinvolge il calcolo della derivata della funzione parametrizzante, quindi se si vuole passare al limite delle lunghezze in modo corretto bisogna essere sicuri di avere un controllo anche sul limite delle derivate.

Infatti, è un risultato ben noto di Analisi Reale che se si ha una successione $x_n(t)$ di curve parametrizzate che converge ad una curva limite $x(t)$, non è detto che la lunghezza d’arco delle $x_n(t)$ converga alla lunghezza d’arco di $x(t)$.

Più generalmente, può accadere che due funzioni reali $f$, $g$ siano “molto vicine” fra loro su un intervallo compatto $I$, cioè $| f(t)-g(t) | <  \epsilon$ per ogni punto $t \in I$, ma le loro derivate rimangano “distanti”, ossia $|f’(t)-g’(t)| > c$ per una costante $c>0$.

Nel nostro caso, le poligonali $L_n$ approssimano uniformemente la circonferenza $C$ e l’area da esse racchiusa converge alla corrispondente area del cerchio, ma le loro lunghezze non approssimano la lunghezza della circonferenza, per la ragione spiegata sopra. Questo è un esempio del fatto contro-intuitivo (ma vero) che si può approssimare puntualmente una curva chiusa semplice e l'area da essa contenuta, senza necessariamente approssimarne la lunghezza.

Varianti di questo paradosso sono ottenute approssimando la diagonale di una quadrato con una successione di “curve a zig zag”, che forniscono il “valore” $\sqrt{2}=2$ (si tratta del cosiddetto “staircase paradox”).

Per ulteriori commenti e dettagli, il lettore può leggere i due interessanti thread su MathStackExchange [MSE12906] e [MSE43118].

Riferimenti.


16 marzo 2019

L'irrazionalità di $\pi$

È ben noto che $\pi$ è un numero irrazionale, ossia che non può essere scritto come quoziente di due interi. 

La prima dimostrazione di questo fatto fu data da J. H. Lambert nel 1761, per mezzo di uno sviluppo in frazione continua della funzione tangente. 

Un argomento differente venne fornito nel 1873 da C. Hermite, il quale fece vedere che $\pi^2$ è irrazionale utilizzando un ingegnoso argomento per assurdo basato sul calcolo integrale e sulla caratterizzazione di $\pi$ come la più piccola soluzione positiva dell'equazione $\cos \frac{x}{2}=0$. 

Oggi esistono decine di dimostrazioni dell'irrazionalità di $\pi$, alcune delle quali accessibili anche agli studenti degli ultimi anni di scuola superiore. Una delle più semplici è probabilmente la seguente, dovuta a I. Niven [N47].
Teorema. Il numero $\pi$ è irrazionale.
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che $\pi=a/b$, con $a$, $b$ interi positivi. Preso un arbitrario numero naturale $n,$ consideriamo i seguenti polinomi:
\begin{equation*}
\begin{split}
f(x) & = \frac{x^n(a-bx)^n}{n!} \\
F(x) & = f(x)-f^{(2)}(x)+f^{(4)}(x)- \cdots +(-1)^nf^{(2n)}(x).
\end{split}
\end{equation*} Un semplice calcolo mostra che $f(x)$ e tutte le sue derivate $f^{(j)}(x)$ assumono valori interi in $x=0$; inoltre, lo stesso vale per $x=\pi=a/b$, dato che $f(x)=f(a/b-x)$.

Dalle formule elementari di derivazione otteniamo
\begin{equation*}
\frac{\mathrm{d}}{\mathrm{d}x}[F'(x) \sin x - F(x) \cos x] = F''(x) \sin x + F(x) \sin x = f(x) \sin x,
\end{equation*} da cui, per il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale,
\begin{equation} \label{eq:calcolo}
\int_0^{\pi} f(x) \sin x \, \mathrm{d}x = \left[F'(x) \sin x - F(x) \cos x \right]_0^{\pi} = F(\pi)+F(0). \tag{$\heartsuit$}
\end{equation} Per quanto visto, la quantità $F(\pi)+F(0)$ è un intero, dato che lo sono tutte le quantità $f^{(j)}(0)$ e $f^{(j)}(\pi)$.

D'altra parte, per $0 <x <\pi$ abbiamo
\begin{equation*}
0 < f(x) \sin x < \frac{{\pi}^n a^n}{n!}.
\end{equation*} Ciò implica che, per $n$ sufficientemente grande, la funzione $f(x) \sin x$ è positiva ma arbitrariamente piccola in $(0, \, \pi)$, e quindi lo stesso è vero per il corrispondente integrale definito.

Allora si può scegliere $n$ in modo tale che il membro a sinistra di $\eqref{eq:calcolo}$ sia strettamente compreso fra $0$ e $1$, contraddizione. $\square$

I. Niven (fonte Wikipedia)

Riferimenti.

[N47] I. Niven: A simple proof that π is irrational, Bull. Amer. Math. Soc. 53  (1947).

06 novembre 2018

L'equazione funzionale di Cauchy

Problema. Supponiamo di avere una funzione $f \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R}$ tale che $f(x+y)=f(x)+f(y)$ per ogni $x, \, y \in \mathbb{R}$. È vero che  $f$ è una funzione lineare, ossia della forma $f(x)= kx$ per un fissato $k \in \mathbb{R}$?
L’equazione funzionale
\begin{equation} \label{eq:Cauchy}
f(x+y)=f(x)+f(y)\tag{$*$}
\end{equation} è detta equazione funzionale di Cauchy. È facile rendersi conto che, se $f \colon \mathbb{Z}  \to  \mathbb{Z}$ verifica $(*)$, allora $f$ è lineare sugli interi. Infatti si ha
\begin{equation*}
f(2)=f(1+1)=f(1)+f(1)=f(1) \cdot 2,
\end{equation*} da cui, iterando, si ottiene $f(n)=f(1) \cdot n$, cioè $f(n)=kn$ con $k=f(1)$. Una semplice variante di questo argomento mostra che, se $f \colon \mathbb{Q}  \to \mathbb{Q}$ soddisfa l'equazione funzionale di Cauchy, allora $f$ è lineare sui razionali.

Quando invece si considerano funzioni $f  \colon \mathbb{R}  \to \mathbb{R}$, la natura delle soluzioni cambia radicalmente. Nel 1821, A. L. Cauchy dimostrò, nel suo seminale Cours d’Analyse, che ogni funzione reale che soddisfi $(*)$ e che sia anche continua è necessariamente lineare. Successivamente, nel 1875, G. Darboux provò che, per garantire la linearità, è sufficiente la continuità di $f$ in un solo punto [D75], e cinque anni dopo fece vedere che basta supporre che esista un intervallo nel quale $f$ sia monotona [D80].

La questione venne completamente risolta nel 1905 da G. Hamel [H05], dal cui lavoro risultò che la generica soluzione dell’equazione funzionale di Cauchy su $\mathbb{R}$ è una funzione patologica, cioè non lineare. Il procedimento di Hamel per ricavare le sue soluzioni patologiche era non costruttivo, e faceva uso di quella che oggi viene chiamata una base di Hamel di $\mathbb{R}$ come $\mathbb{Q}$-spazio vettoriale, la cui esistenza è equivalente all’assioma di scelta.


G. Hamel (fonte: Berliner Mathematische Gesellschaft)

Per quanto detto sopra, ogni soluzione patologica dell’equazione funzionale di Cauchy è necessariamente discontinua in ogni punto e non-monotona in ogni intervallo. Si può anche far vedere che ogni tale funzione è non-misurabile secondo Lebesgue. Per maggiori particolari sull’equazione funzionale di Cauchy e sulle proprietà delle sue soluzioni patologiche, il lettore può consultare [MSE423492].


Riferimenti.

[D75] G. Darboux: Sur la composition des forces en statiqueBulletin des Sciences Mathématiques et Astronomiques 9 (1875), 281-299.
[D80] G. Darboux: Sur le théorème fondamental de la Géométrie projective, Mathematische Annalen 17 (1880), 55-61.
[H05] G. Hamel: Eine Basis aller Zahlen und die unstetigen Lösungen der Funktionalgleichung $f(x+y)=f(x)+f(y)$, Mathematische Annalen 60 (1905), 459-462.
[MSE423492] https://math.stackexchange.com/questions/423492/overview-of-basic-facts-about-cauchy-functional-equation

21 luglio 2018

Il problema di Didone

Devenere locos ubi nunc cernis
ingentia moenia arcemque novae Karthaginis surgentem,
mercatique solum Byrsam, de nomine facti,
quantum possent circumdare taurino tergo.

(Virgilio, Eneide, Libro I)

La leggenda riportata da Virgilio narra di Didone, la regina dei Fenici che, fuggita in Africa dopo l'assassinio del marito ad opera del fratello, chiese al re locale Yarba di concederle una quantità di terra che potesse essere circondata dalla pelle di un toro. Il re accettò, parendogli una richiesta molto modesta, al che Didone fece tagliare la pelle in striscioline sottili, che unì insieme per formare una lunga corda con la quale circondò ciò che sarebbe diventato il futuro insediamento di Cartagine.

Nell'attuare il suo piano, Didone si trovò davanti a ciò che può essere considerato il primo problema isoperimetrico della storia, che per questo motivo è anche noto come
Problema di Didone. Determinare la figura geometrica piana che massimizza l'area, a parità di perimetro.
I geometri antichi intuirono che la risposta corretta è "il cerchio", ma le prime dimostrazioni rigorose vennero trovate solo nella seconda metà dell'800.

I primi tentativi di approcciare il problema risalgono al tempo dei greci. Zenodoro (150 a.C.) dimostrò che, a parità di perimetro, se esiste un $n$-agono che massimizza l'area questo deve essere regolare, e che dati due poligoni regolari con lo stesso perimetro quello con più lati ha l'area maggiore. Inoltre, metodi di esaustione simili a quelli di Archimede facevano vedere che il cerchio ha un area maggiore di ogni poligono regolare con lo stesso perimetro.

Questi risultati non risolvono il problema di Didone, in quanto non è affatto chiaro a priori che una figura di area massima esista, anche se per lungo tempo questo sottile aspetto della questione non venne considerato.

Per oltre 1900 anni non vi furono ulteriori progressi, finché verso il 1750 Eulero (e poi Lagrange) approcciarono analiticamente il problema per mezzo di quelle che oggi chiamiamo "equazioni di Eulero-Lagrange", che costituiscono la base del moderno Calcolo delle Variazioni.

Il metodo analitico forniva (correttamente) l'equazione di una circonferenza come bordo della figura massimizzante l'area; tuttavia, come rilevato da Weierstrass, esso lasciava ancora aperta la questione dell'esistenza della soluzione.

Il passo finale venne compiuto da J. Steiner: grazie ad un ingegnoso metodo geometrico che oggi è chiamato in suo onore simmetrizzazione di Steiner, egli dimostrò che è possibile trasformare una regione chiusa $D$ di $\mathbb{R}^2$, con bordo regolare a tratti, in modo che la sua area rimanga invariata e il perimetro decresca.

Simmetrizzazione di Steiner
Si può far vedere che, applicando una successione di simmetrizzazioni rispetto ad opportune rette, la successione di figure che si ottiene converge ad un cerchio, avente la stessa area di $D$, rispetto alla metrica di Hausdorff. Come osservato da Edler e Steiner, questo è sufficiente a dimostrare che ogni dominio del piano con lo stesso perimetro del cerchio ha area minore di esso, completando la soluzione del problema di Didone nel piano.

L'analogo problema in dimensione superiore ("determinare il dominio di $\mathbb{R}^n$ di massimo volume a parità di area della superficie") ha ancora per soluzione la palla $n$-dimensionale; tuttavia, la dimostrazione è molto più delicata che nel piano, e si basa su alcune fondamentali diseguaglianze scoperte da Brunn, Minkowski e Lyusternik.

Lo studio del problema isoperimetrico in dimensione superiore ha motivato le ricerche della scuola italiana riguardo la definizione di "area" nel caso di domini non lisci, e in particolare i lavori (oggi considerati classici) di Caccioppoli e De Giorgi sull'argomento.

Per maggiori dettagli sull'argomento di questo post, il lettore può consultare [Ban17].

Riferimenti:

[Ban17] C. Bandle: Dido's problem and its impact in modern mathematics, Notices AMS 64 (Volume 9), Ottobre 2017.

02 dicembre 2017

Serie divergenti: la serie di Grandi

Les séries divergentes sont en général quelque chose de bien fatal et c’est une honte qu’on ose y fonder aucune démonstration.
(N. H. Abel)

Una serie numerica si dice "divergente" se non è convergente, ossia se la successione delle sue somme parziali non ammette limite finito. Come si evince dalla frase di N. H. Abel citata sopra (tratta da una lettera del 1826 al suo insegnante Holmboe) i matematici del passato vedevano le serie divergenti come oggetti infidi e pericolosi che era saggio evitare, in quanto fonte infinita di contraddizioni e paradossi.

Un esempio classico è la ben nota Serie di Grandi $$1-1+1-1+1-1+1-1 \ldots,$$ la cui successione delle somme parziali è $$1, \, 0, \, 1, \, 0, \, 1, \, 0, \, 1, \ldots$$ e la cui "somma" generò infinite (e spesso accese) controversie nel periodo precedente la sistematizzazione rigorosa dell'Analisi Matematica.

Infatti, alcuni raggruppavano la serie nel modo seguente: $$(1-1)+(1-1)+(1-1)+ \ldots$$ ottenendo come risultato $0$, altri preferivano invece scrivere $$1+(-1+1)+(-1+1)+(-1+1)+ \ldots$$ ottendendo come risultato $1$.

Nel suo libro "Quadratura circula et hyperbolae per infinitas hyperbolas geometrice exhibita" (1703), nel quale la serie venne considerata per la prima volta in modo sistematico, Grandi interpretò questi due risultati contraddittori in chiave religiosa, sostenendo che, se da $0$ si può ottenere $1$, allora anche la creazione del mondo dal nulla è perfettamente plausibile. Più prosaicamente, aveva scoperto che la proprietà associativa dell'addizione non si estende in modo naturale alle somme infinite.

Altri ancora chiamavano $S$ il valore della somma, e scrivevano $$1-S = 1-(1-1+1-1+ \ldots) = S,$$ottenendo in tal modo il valore $S=1/2$.

I sostenitori della risposta $1/2$ osservavano che la serie di Grandi si ottiene ponendo $x= -1$ nella somma della serie geometrica $$\frac{1}{(1-x)}= 1+x+x^2+x^3+x^4+ \ldots$$ Siccome la relazione precedente vale per ogni $x$ con $|x|<1$, per "continuità" essi deducevano che doveva valere anche per $x= -1$, valore per il quale il membro di sinistra è ancora definito. Lo stesso Leibniz commise questo errore, il che mostra quanto potessero essere nebulosi, anche per le migliori menti del periodo, concetti considerati oggi standard come il "raggio di convergenza" e il "prolungamento analitico" di una serie di potenze.

La risposta $1/2$ venne giustificata euristicamente (anche dalla stesso Grandi) osservando che, se un bene materiale viene passato fra due eredi ad intervalli regolari di tempo, allora ciascuno dei due può dire di possederne la metà. Di nuovo, Grandi interpretò la cosa in termini di creazione del cosmo dal nulla (si vede che era un soggetto che gli stava a cuore).

Come osservato opportunamente da G. Hardy, le controversie sulla somma della Serie di Grandi (e su quella delle serie divergenti in generale) terminarono nel momento in cui i matematici smisero di chiedersi "cosa fosse" la somma della serie, e incominciarono a domandarsi "come definirla".  A tale scopo, vennero sviluppati vari metodi per dare un significato al concetto di "somma di una serie divergente", e fu finalmente chiaro che metodi di sommazione differenti possono dare valori differenti.

Siccome le somme parziali della Serie di Grandi sono alternativamente 0 e 1, la serie non ha somma nel senso usuale del termine. Tuttavia, si può ad esempio considerare la somma di Cesàro (1890), nella quale al posto della successione delle somme parziali usuali si prende quella delle loro medie aritmetiche.

Per la serie di Grandi, tali medie aritmetiche sono $$1, \,1/2, \,2/3, \,2/4, \,3/5, \,3/6,\, 4/7, \,4/8, \ldots$$ e questa successione converge ad $1/2$. Dunque la somma di Cesàro della serie di Grandi (o, equivalentemente, della successione $1, \, 0, \,1, \, 0,\, 1,\, 0, \ldots$) è effettivamente $1/2$.

D'altra parte, anche il metodo di raggruppamento dei termini, che fornisce 0 e 1 come "valori", ha un'interpretazione moderna e corretta in termini di "Eilenberg–Mazur swindle", una costruzione usata in Algebra e Topologia Geometrica.

I teologi à la Grandi possono tirare un sospiro di sollievo.