03 febbraio 2018

Il Teorema della Base di Hilbert

The theory of invariants came into existence about the middle of the nineteenth century somewhat like Minerva: a grown-up virgin, mailed in the shining armor of algebra, she sprang forth from Cayley's Jovian head.
(H. Weyl)

Uno dei campi di ricerca matematica più attivi alla fine dell'800 era la cosiddetta Teoria degli Invarianti, creata da A. Cayley con il suo seminale lavoro "On the Theory of Linear Transformations" (1845).

In termini moderni, il problema può essere enunciato come segue. Si consideri uno spazio vettoriale $V$ di dimensione finita $n$ su un campo $\mathbb{K}$, e sia $S^r(V)$ la parte in grado $r$ della sua algebra simmetrica. Considerata l'azione naturale del gruppo $\mathsf{SL}(V)$, si vogliono determinare gli elementi di $S^r(V)$ che sono invarianti per tale azione.

Cayley si limitava al caso $V=\mathbb{C}[x_1,\ldots ,x_n]$, per cui $S^r(V)$ era dato dai polinomi omogenei di grado $r$ a coefficienti complessi in $n$ indeterminate, e considerava la sottoalgebra dei polinomi che erano invarianti per l'azione naturale di $\mathsf{SL}_n(\mathbb{C})$. Nella sua terminologia, egli cercava "gli invarianti delle forme $n$-arie di grado $r$". Il primo caso da trattare era ovviamente quello delle forme binarie, ossia dei polinomi omogenei di grado $r$ in $2$ variabili.

Il "re della teoria degli invarianti" era da tutti considerato P. Gordan, che nel 1868 aveva dimostrato, per mezzo di un complesso argomento computazionale, che l'algebra degli invarianti per le forme binarie (di ogni grado) è finitamente generata. I tentativi di Gordan di adattare la sua dimostrazione alle forme con più di due variabili, però, fallirono a causa della enorme complessità dei calcoli da effettuare.

La svolta arrivò 20 anni dopo, nel 1890, quando il giovane D. Hilbert stupì la comunità matematica con l'articolo [Hilb90], nel quale dimostrava il celebre
Teorema di Finitezza di Hilbert. L'algebra degli invarianti delle forme $n$-arie di grado $r$ è finitamente generata per ogni valore di $n, \, r$. 
La dimostrazione di Hilbert giunse come un fulmine a ciel sereno, non solo per la potenza del risultato ma soprattutto per la tecnica utilizzata. Fino ad allora, infatti, tutti gli sforzi per provare la finita generazione degli invarianti erano rivolti alla determinazione di una base esplicita caso per caso. Hilbert, invece, "tagliò il nodo gordiano" dando una dimostrazione esistenziale e non costruttiva, che risolveva tutti gli infiniti casi in un colpo solo.

Il suo argomento si basava su un risultato molto generale e di indipendente interesse, e la cui dimostrazione originale (per assurdo) è sostanzialmente la stessa riportata nei moderni testi di Algebra. Si tratta del celebre
Teorema della Base di Hilbert. Se $\mathbb{K}$ è un campo, ogni ideale di $\mathbb{K}[x_1, \ldots , x_n]$ è finitamente generato.
L'approccio di Hilbert al problema originale fu di applicare il suo Teorema di Finitezza all'ideale $J$ di $\mathbb{C}[x_1, \ldots, x_n]$ generato dai polinomi invarianti di grado positivo, deducendo che deve esistere un insieme finito di invarianti che genera $J$. Dopodiché, utilizzando l'operatore che oggi è chiamato "proiettore di Reynolds", concludeva che questo insieme finito di generatori di $J$ (come ideale) genera di fatto l'intero sottoanello degli invarianti polinomiali.

All'inizio non tutti compresero la portata rivoluzionaria delle argomentazioni di Hilbert. Secondo quanto narrato in [R70],  sembra che lo stesso Gordan si trovò a disagio nei loro confronti, giungendo ad affermare

Das ist nicht Mathematik. Das ist Theologie

(Questa non è matematica. Questa è teologia).

Più tardi, tuttavia, cambiò idea, anche perché nel frattempo Hilbert aveva fornito [Hilb93] un approccio costruttivo al suo Teorema della Base. Gordan giunse anche a semplificare uno dei passaggi nella dimostrazione hilbertiana (infatti, secondo alcuni, il suo paragone  con la teologia non era tanto critico, quanto sottilmente ironico).

Chi capì subito la potenza dei nuovi metodi fu invece F. Klein, secondo il quale il lavoro di Hilbert sugli invarianti era l'articolo più importante mai pubblicato fino ad allora su Mathematische Annalen. Da quel momento, Klein si adoperò in modo che Hilbert ottenesse una cattedra a Gottinga, cosa che avvenne nel 1895.

Dopo questo grande successo, Hilbert cambiò settore di ricerca, dedicandosi alla Teoria dei Numeri. A suo parere, infatti, la teoria degli invarianti era ormai morta. Effettivamente, l'argomento smise di essere soggetto di ricerca per quasi un secolo, e per trovare qualcuno che lo riportasse in vita bisognerà attendere gli anni '60 del '900 con D. Mumford e la sua Geometric Invariant Theory. Ma questa è un'altra storia.


Riferimenti:

[Hilb90] D. Hilbert: Ueber die Theorie der algebraischen Formen, Math. Ann. 36 (1890), 473–534.
[Hilb93] D. Hilbert: Ueber die vollen Invariantensysteme, Math. Ann. 42 (1893) pp. 313–373.
[R70] C. Reid: Hilbert, Springer (1970).

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